di Matteo Grassi
“Se gettassi su di un piatto della bilancia tutto ciò che ho imparato a comprendere in quelle ore di meditazione di fronte all’Acquario, e sull’altro tutto ciò che ho ricavato dai libri, come rimarrebbe leggero il secondo!”
Konrad Lorenz – L’anello di Re Salomone (1949)
Portate un bambino di cinque o sei anni in un negozio di pesci tropicali. Fategli osservare le vasche e poi chiedetegli qual è il suo pesce preferito. Se tra i vari ospiti c’è almeno un Betta splendens, con le lunghe pinne a velo rosse o blu che ondeggiano a mezz’acqua, potete scommettere che vi indicherà proprio quello. E’ difficile non restare ammaliati da questo piccolo anabantide che supera tutti gli altri pesci d’acqua dolce per varietà di colori e forme del pinnaggio, che è stato oggetto di innumerevoli studi sull’analisi comportamentale degli animali e che meglio di molti altri si adatta a vivere anche negli spazi ridotti degli acquari casalinghi. La storia di questo pesce, disseminata di eventi sorprendenti, è una testimonianza straordinaria della forza vitale della natura e delle infinite possibilità dell’evoluzione, ma è anche la prova del potere della passione umana, quando agisce in sintonia con la natura. Questo è il segreto del piccolo miracolo biologico che vi osserva da dietro al vetro, ondeggiando altero e silenzioso con le labbra serrate.
L’età dei pesci
Proprio in quelle labbra serrate si cela la prima traccia dell’origine di questo pesce che non respira boccheggiando, come tutti i pesci che adottano la respirazione branchiale, ma nuota a bocca chiusa. Non è per contegno, come si potrebbe pensare conoscendo il suo caratterino, ma perché il Betta non respira solamente attraverso le branchie, di cui comunque dispone, ma attraverso il labirinto: un organo che si sviluppa durante il primo mese di vita e gli consente di respirare, emergere in superficie e respirare abbondanti bocca d’aria.Per saperne di più su questo organo prodigioso dobbiamo tornare indietro col pensiero a circa 400 milioni di anni fa, nell’era chiamata Devoniano. Il nostro pianeta esiste già da almeno quattro miliardi di anni, ma nessun animale ha mai posato le zampe sulla sua superficie. Le terre emerse sono ancora accorpate in grandi continenti molto ravvicinati, che hanno solo la parvenza dei continenti odierni. L’attività geologica è elevatissima, ma si stanno già formando le prime foreste e maturano le condizioni per la vita animale fuori dall’acqua. Dapprima compaiono gli insetti, ma la vita animale vera e propria si svolge ancora sott’acqua: è l’età dei pesci.
La temperatura dei mari è alta, prossima ai 30 gradi. Probabilmente non vi sono ghiacci e in questo clima “tropicale” la progressiva colonizzazione della terraferma da parte delle piante genera habitat semi terrestri ricchi di sedimenti e nutrimento, paludi, estuari di fiumi in cui la vita esplode letteralmente sostituendosi alle semplici e primitive alghe, che esistono già da tre miliardi di anni. Contemporaneamente, il clima favorisce una distribuzione altalenante delle piogge con lunghi periodi in cui i livelli dell’acqua nei laghi e fiumi si abbassano fino a creare pozze isolate: alcuni pesci sviluppano i primi apparati per “annusare” l’aria, inizialmente senza respirarla. Poi, nel corso di centinaia di migliaia di anni, sviluppano tessuti interni sempre più vascolarizzati, in grado di attivare scambi di ossigeno e anidride carbonica tra il sangue e l’aria: sono dei proto polmoni che, nel corso di milioni di anni e di generazioni, si sviluppano in forme sempre più perfezionate. Queste specie guadagnano un vantaggio importante sugli altri pesci, si moltiplicano e incominciano a colonizzare le terre emerse. Mentre compaiono i primi animali terrestri, altri pesci prendono un percorso evolutivo diverso: non sviluppano dei polmoni ma un organo respiratorio più semplice chiamato labirinto, raccolto in un piccolo spazio tra le branchie e la bocca. Si tratta di un agglomerato di tessuti fortemente ripiegati e vascolarizzati che, senza raggiungere la capacità dei polmoni, permette di respirare. Anche questi pesci si avvantaggiano della respirazione aerea, per sopravvivere in acque basse e poco ossigenate ma ricche di vegetazione e di cibo e inaccessibili ai grandi predatori. A questo punto, i due rami evolutivi si separano. I polmoni sono un apparato molto più efficiente che permette agli animali terrestri di raggiungere dimensioni enormi, fino a sostenere la respirazione sia degli immensi dinosauri, sia dei mammiferi terrestri più evoluti che popoleranno la terra dopo il Cretaceo. Il ramo imboccato dai labirintidi è meno prospero e dà vantaggi diversi. Questi pesci mantengono dimensioni molto piccole, ma si specializzano nel vivere in zone estremamente protette, spesso più ricche di piante che di acqua. Nel corso di milioni di anni superano l’ondata catastrofica di estinzioni del Cretaceo che cancella i grandi rettili dalla faccia della terra e proseguono differenziandosi in numerose famiglie e specie fino ai giorni nostri. Alcuni di questi pesci colonizzano i corsi d’acqua dell’indocina, dal Siam (l’odierna Thailandia) alla Malesia, differenziandosi progressivamente in oltre 50 specie che oggi prendono il nome di Betta e sviluppando l’indole territoriale, combattiva, propria di un animale abituato a vivere in piccoli spazi e l’abilità di saltare fuori dall’acqua per spostarsi da una pozza all’altra quando lo spazio diventa insufficiente. Dagli animali terrestri invece originano forme di vita sempre più sofisticate e, circa 150 mila anni fa compaiono i primi Homo sapiens. Il ramo evolutivo dei labirintidi non esprime tutta questa potenzialità, ma, in un certo senso, la serba dentro di se per milioni di anni, per poi manifestarla tra la fine dell’ottocento e la fine del novecento, quando l’allevamento da parte dell’uomo dà vita al turbinoso sviluppo di forme e colori che si possono osservare oggi negli acquari di tutto il mondo che ospitano Betta splendens.
Il Betta e l’uomo
E’ difficile dire con precisione quando l’uomo abbia incominciato ad allevare i betta. Non ci sono documenti certi fino all’ottocento, ma le prime testimonianze lasciano intendere che a quell’epoca questi pesci erano allevati in Siam già da generazioni, probabilmente da centinaia di anni. Alcuni archivi della regione di Sukhotai, risalenti al quattordicesimo secolo parlano di allevamento di pesci per combattimenti. Per i primi occidentali che li osservano nell’ottocento sono i “pesci combattenti del Siam”. Il popolo thai invece li chiama pla kat, alla lettera “pesce che morde”. Diffusi praticamente in tutti i corsi d’acqua, specialmente nelle zone in cui la vegetazione sommersa abbonda e dove la temperatura è più alta, a metà dell’ottocento sono allevati comunemente in molte zone rurali del Paese. Per valutare da quando siano iniziati i primi allevamenti possiamo fare un parallelo con la confinante Cina. Sappiamo da testimonianze scritte che in Cina i pesci rossi (Carassius auratus) erano allevati e selezionati, nelle loro migliori forme ornamentali, fin dall’epoca della Dinastia Jin (265-420 d.C). La vicinanza e i frequenti scambi commerciali tra le regioni del sud della Cina e il Siam fanno supporre che analoghe tradizioni si siano instaurate anche in Siam, se non prima almeno dopo gli imponenti flussi migratori avviati alla fine del settecento, che hanno fatto sì che già a fine ottocento circa il 10% della popolazione del Siam fosse di origine cinese. Comunque, la prima prova scritta di allevamenti di plakat risale al 1840. In quell’anno il re del Siam, Rama III (1824-1851), regala alcuni dei suoi pesci combattenti ad un medico del Bengal Medical Service di nome Theodor Cantor o, secondo altre fonti, ad un conoscente che li consegna a Cantor. Sono anni in cui si avviano i primi veri e propri contatti politici e commerciali tra Siam e paesi anglosassoni. Gran Bretagna e Stati Uniti hanno da poco firmato i primi trattati col Siam e in Cina è in corso la guerra dell’oppio. Cantor studia quei pesci e, nove anni dopo, pubblica un articolo in cui li descrive chiamandoli Macropodus pugnax. Un nome che sessant’anni dopo, nel 1909, verrà modificato dall’ittiologo inglese Tate Regan in Betta splendens perché il nome proposto da Cantor indicava già un’altra specie. Perché Regan scelga la parola betta non è chiaro, si ritiene si sia ispirato al nome di una non meglio identificata antica tribù di guerrieri asiatici. Più intuitiva la scelta della parola splendens, che ci informa del fatto che a fine ottocento in Europa sono già giunti dei pesci di allevamento selezionati per i loro colori e la forma del pinnaggio. Quando Rama III decide di farne dono agli occidentali, l’allevamento di questi pesci è evidentemente già maturo e consolidato, ma certamente non è iniziato per finalità ornamentali: come ci dice lo stesso Cantor sono “pesci che mordono”, pesci combattenti, e per molto tempo, forse fino a pochi anni prima del regno di Rama III, la finalità principale del loro allevamento è stata il combattimento. Secondo la tradizione prevalentemente orale tramandata in Thailandia i plakat erano conosciuti già almeno 600 anni fa. Possiamo immaginare che, inizialmente, pescare pesci combattenti in piccoli corsi d’acqua, stagni o canali di irrigazione delle risaie fosse un passatempo per ragazzi. I pesci potevano poi essere messi in un vaso e fatti combattere. Da qui ad allevarli, il passo deve essere stato piuttosto rapido: sono robusti, abituati ai piccoli spazi e per istinto territoriali, agonistici e inclini all’accoppiamento, anche in condizioni di cattività. Nelle zone rurali del Siam deve quindi essere nata progressivamente l’idea di allevare questi pesci per selezionare i più adatti al combattimento, tramandando nelle generazioni i metodi per allenarli e selezionarli. Sappiamo che progressivamente, il combattimento tra pesci da semplice passatempo ha assunto il carattere di un arte tradizionale e diventando occasione di vere e proprie competizioni, accompagnate da scommesse o premi in denaro. L’allevamento è stato quindi innanzitutto un metodo per selezionare individui sempre più forti, combattivi, tenaci. Scegliendo i pesci con le scaglie più robuste, i denti più solidi e il carattere più aggressivo. Con l’intervento dell’uomo, i plakat da allevamento hanno iniziato a sviluppare caratteri sensibilmente diversi dai Betta splendens selvatici, in un tempo brevissimo se comparato a quelli dell’evoluzione naturale. All’inizio si trattava soprattutto di una maggiore aggressività tra maschi conspecifici. Ma il bello doveva ancora venire.
Il Betta a pinne lunghe
Nella seconda metà dell’ottocento i combattimenti di plakat erano già diffusi al punto che la monarchia, non solo possedeva dei pesci combattenti accuratamente selezionati, ma istituì anche una tassazione su queste competizioni. Si trattava di combattimenti violenti, ma che non prevedevano la morte di uno dei contendenti. Il combattimento si interrompeva e le scommesse venivano pagate quando uno dei due pesci fuggiva o, come si dice, si sottometteva all’altro. Raramente un pesce era utilizzato in più di un paio di combattimenti.I pesci selezionati per combattere erano più grandi e robusti dei plakat selvatici, ma non più belli. Naturalmente avevano pinne corte, decisamente più favorevoli per i rapidi spostamenti necessari nel corpo a corpo. Probabilmente i colori erano già oggetto si selezione, poiché un pesce più colorato può attirare maggior interesse e scommesse, ma la selezione era mirata all’attitudine al combattimento.Anche le ibridazioni tra Betta di allevamento e Betta selvatici dovevano già avvenire. Esisteva infatti una terminoloria comune per indicare i plakat allevati in vasi di terracotta – chiamati Luk Mor, ovvero ‘figli del vaso’ – da quelli provenienti dalla campagna (Luk Thung, ovvero figli della risaia) o dai corsi d’acqua nella giungla (Luk Pah, figli della giungla). L’ibridazione poteva essere un metodo per introdurre caratteristiche nuove nelle proprie linee di combattenti, ma anche un trucco, per cercare di avere pesci da allevamento – più aggressivi e resistenti dei pesci selvatici – ma con sembianze simili ai più mite plakat selvatici. L’allevatore avversario, credendo di trovarsi davanti ad un pesce selvatico avrebbe pensato ad una facile vittoria, salvo poi trovarsi davanti ad un forte plakat allevato e allenato ad hoc. I Betta a pinne lunghe quindi all’inizio non erano un obiettivo, anche perché in Siam non c’era mercato per i pesci ornamentali. Ma è ragionevole pensare che anche negli allevamenti di pesci da combattimento vi fossero occasionalmente delle mutazioni che davano luogo a pesci diversi, con pinnaggi interessanti: caudali più lunghe del normale, colori particolari. Gli allevatori devono aver notato questi caratteri e averli conservati nelle generazioni successive, per puro piacere estetico, magari per mettere in mostra questi pesci in casa, in vasi di vetro anziché di terracotta, o per coinvolgere nella loro passione anche i bambini e le donne, esclusi dalle gare di combattimento ma sicuramente inclini ad apprezzare la bellezza dei piccoli Betta con pinne più lunghe e colorate del solito. Non va dimenticato inoltre che nell’ottocento in Siam cresce improvvisamente la popolazione di origine cinese, che sotto precedenti regni era invece respinta. In Cina l’allevamento di pesci ornamentali è già una tradizione affermata da secoli e gli immigrati, dapprima contadini ma poi anche funzionari di rilievo nell’amministrazione dello stato, devono aver riconosciuto e apprezzato e il potenziale estetico di questi pesci. In questo modo, accanto all’allevamento di plakat per il combattimento, è progressivamente comparso l’allevamento dei cosiddetti plakat cheen (cheen= cinese), nome con cui molti thailandesi ancora oggi chiamano il Betta a pinne lunghe. Nel suo articolo del 1849 Cantor scrive che sia i colori che la lunghezza delle pinne degli esemplari ricevuti dal Re del Siam variano da individuo a individuo, un segno che questi pesci erano già selezionati anche in base a canoni estetici. Secondo Arnold e Ahl, tra i primi acquariologi tedeschi, i Betta splendens arrivano in Germania nel 1896 (tredici anni prima che Regan definisca la specie e le attribuisca il nome odierno): sono descritti come pesci a pinne corte ma con colorazioni molto variabili. L’acquariologo americano William T. Innes parla delle prime importazioni negli Stati Uniti attorno al 1910. Anche questi esemplari sono descritti con colori variegati, che richiamano i colori naturali del Betta splendens, con pinne di taglia media e una caudale dall’aspetto rotondeggiante. I veri e propri Betta a pinne lunghe arrivano in occidente nel 1927, importati da Fran Locke di San Francisco. E’ in quell’anno che gli acquariologi americani ed europei vedono per la prima volta dei Betta di colore chiaro, con corpo bianco e pinne rosse. Locke, ritenendoli una specie particolare, li chiama Betta cambodia, poiché sa che in Siam sono chiamati plakat khmer e provengono tipicamente dalla Cambogia. Si tratta in realtà di Betta splendens con una colorazione caratteristica della specie e il nome cambodian continuerà ad essere usato per indicare questo particolare fenotipo. Negli anni trenta, con il saggio “The Freshwater Fishes of Siam or Thailand” lo studioso americano Hugh M. Smith, consulente del governo siamese per l’allevamento dei pesci tra il 1923 e il 1935, descrive per la prima volta in maniera accurata questi pesci e le tradizioni locali alla base del loro allevamento. I Betta splendens sono diventati ufficialmente un oggetto del desiderio per tutti gli acquariologi occidentali.
Disegno di un Betta a pinne lunghe da un artista Thai (1931), nella didascalia si legge un riferimento alla classificazione di Regan del 1909. Fonte: http://www.plakatthai.com
I Betta oggi
Gli Stati Uniti sono senz’altro la seconda patria dei Betta splendens. Qui già nell’immediato dopoguerra è possibile acquistare dei Betta splendens da allevare nell’acquario di casa. Sono già pesci con pinne lunghe e caudali molto sviluppate e rotondeggianti. I piccoli Betta si riproducono con facilità – l’allevamento intensivo dei thai ha potenziato questa caratteristica – e gli allevatori americani, che non hanno interesse ai combattimenti, ma un grande mercato di appassionati di acquari, scelgono di puntare alla selezione dei colori e dei pinnaggi migliori. In pochi anni il potenziale genetico di questi labirintidi, che covava da milioni di anni, esplode.Tra gli anni 50 e 60 allevatori americani tra cui Warren Young fissano il carattere del Betta veil tail, con la lunghissima pinna caudale a velo. I veil tail vengono reimportati nei prolifici allevamenti thailandesi e da lì si spandono in tutto il mondo.
Nel 1960 si ha notizia dei primi double tail in India. Nello stesso periodo Eduard Schmidt-Focke in Germania ottiene il primo delta tail, un pesce con la caudale triangolare e simmetrica. Nel 1967 in America viene fondato l’IBC, International Betta Congres. Ancora oggi la principale associazione amatoriale di allevatori di betta. Per tutti gli anni 70 e 80, accanto alla diffusione sempre maggiore deiveil tail, gli allevatori lavorano per ottenere caudali lunghe ma sempre più simmetriche, sono i Bettaround tail, che caratterizzano i primi concorsi, o Betta Show. I Betta sono di nuovo in competizione, ma non si tratta più di combattere.Da qui la corsa si fa sempre più veloce. Nei primi anni novanta, grazie al lavoro pionieristico di Paris Jones, Peter Goettner e del francese Guy Delaval, e sulla spinta dell’iniziativa dello svizzero Rajiv Massilamoni, viene fissato il carattere dei primi Betta con caudale che si apre a 180°. Il primo di questi pesci a vincere un concorso dell’IBC è Chenmaswil, dalle iniziali dei tre allevatori che insieme hanno sviluppato la sua linea Laurent Chenot, Rajiv Massilamoni e l’americano Jeff Wilson. Vince il concorso IBC di Tampa nel 1993 e inaugura ufficialmente la stagione dei Betta half moon. Anche questa volta la linea avviata in europa e america viene reimportata e perfezionata dagli allevatori thailandesi e gli half moon diventano il nuovo standard dominante nei concorsi. Alla fine degli anni novanta l’allevatore indonesiano Ahmad Yusuf sviluppa i primi crown tail, Betta in cui le membrane delle pinne sono più corte dei raggi e creano l’effetto di una corona. Contemporaneamente tornano sempre più in auge i Betta a pinne corte, che riprendono il nome originario di plakat e vengono sviluppate le prime linee di half moon plakat.
Illustrazione con una coppia di Betta a pinne lunghe. Da Tropical fish, Lucille Quarry Mann, New York 1954.
Fonte: http://www.plakatthai.com
Anche sul versante dei colori a partire dagli anni sessanta l’evoluzione è tumultuosa e velocissima. Uno dei più celebri allevatori americani, Gene Lucas, fissa nei suoi articoli per l’IBC le prime regole della genetica dei Betta e ottiene i primi Betta opaque white. Jay C. Niel perfeziona il carattere butterfly, in cui le pinne hanno due fasce di colori nette e contrastanti. Orville Gulley, un detenuto della prigione di stato dell’Indiana, crea i primi marbles. Più di recente, da successivi incroci tra Betta di allevamento e Betta selvatici delle specie smaragdina e mahacai, gli allevatori thailandesi sviluppano i dragon, una classe di Betta dai caratteristici colori metallici e uniformi.Negli ultimi dieci anni, grazie alla disponibilità di internet, le informazioni su come allevare i betta, e la possibilità di acquistare e scambiare Betta di ogni foggia e colore in tutto il mondo si sono moltiplicate a dismisura. In meno di due secoli la passione umana è riuscita a liberare una molteplicità meravigliosa di variabili che erano scritte da millenni nel patrimonio genetico di questo pesce unico.
Chenmaswil, primo Betta halfmoon vincitore di un concorso IBC fotografato sulla copertina di FAMA, Dicembre 1993. Fonte: http://www.bettysplendens.com
Per l’ispirazione e le principali informazioni sullo sviluppo dei labirintidi nell’era devoniana sono debitore di un articolo del Santa Barbara Independent del 26 febbraio 2010 di Teisha Rowland. Per la maggior parte delle notizie sullo sviluppo degli allevamenti di plakat nel regno del Siam ringrazio Precha Jintasaerewonge e gli articoli del suo ricchissimo sito www.plahatthai.com (ora non più disponibile).
Le brevi notizie storiche sul Siam sono tratte da Wikipedia e dal saggio Two Yankee Diplomats in 1830’s Siam, Orchid Press Bangkok, 2002. Infine, ringrazio Victoria Parnell e il sito www.bettysplendens.com per gli innumerevoli articoli sui Betta di oggi. I dati sulle specie di acqua dolce in pericolo sono tratti dal numero monografico sull’acqua di Aprile 2010 del National Geographic Italia.
Scheda: Rama III
Il regno del Siam, o regno Rattanakosin, è il quarto regno nella storia thai. Iniziato da Yodfa Chulaloke nel settecento, è l’ultimo periodo di monarchia assoluta della Thailandia. Nel periodo di massima estensione il regno include gli odierni Laos, Cambogia e porzioni della Malesia. Bangkok è la capitale. Sotto Rama III (Re Phra Nangklao) il Siam intensifica i contatti con i paesi occidentali riuscendo, unico paese dell’Indocina, a mantenere l’autonomia dalle potenze coloniali europee. Tra il 1825 e il 1830 sigla due trattati commerciali con Gran Bretagna e Stati Uniti, oggi considerati dei sostanziali successi per il Siam, che riesce a mantenere una politica di equilibrio con questi paesi senza concedere loro nessun vantaggio sostanziale. Contemporaneamente il paese sostiene diverse guerre con gli stati confinanti, Vietnam in particolare. Quest’epoca vede anche un incremento senza precedenti dell’immigrazione proveniente dalla Cina, poiché la dinastia reale stringe rapporti importanti con l’impero cinese. Rama III, come i suoi predecessori, diffida dei paesi occidentali e il 1840 è l’anno più critico del suo regno. La guerra dell’Oppio tra Inghilterra e Cina mette in serio dubbio la capacità del Siam di mantenere la propria autonomia. Nel 1850 Gran Bretagna e Stati Uniti tornano a proporre trattati commerciali più cogenti, chiedendo l’eliminazione di ogni forma di restrizione sui commerci, l’immunità dalle leggi thai per i propri cittadini e la possibilità di insediare sedi diplomatiche e consolari stabili, che godano dell’extraterritorialità. Rama III rifiuta, tenendo per l’ennesima volta le potenze occidentali fuori dal suo regno.Con i successori di Rama III il Siam riuscirà a mantenere la propria autonomia, pur perdendo progressivamente i propri domini su Laos, Cambogia e Malesia e assumendo il ruolo di stato cuscinetto tra le colonie inglesi di Burma e l’indocina francese. In questo scenario di forti pressioni esterne i progressi sociali sono ridotti, anche se nel 1905 viene abolita la schiavitù, mentre si sviluppa una classe militare sempre più forte e vicina al potere esecutivo. Tanto che, nel 1932, darà vita ad un colpo di stato, ponendo fine alla monarchia assoluta e avviando un regime di monarchia costituzionale con un governo di stampo militare. Pochi anni dopo il paese perderà anche il nome di Siam sostituito da quello di Thailandia, usato ancora oggi.
Scheda: Una nuova sfida per chi ama i Betta, preservarne la biodiversità
In natura esistono ancora decine di specie di betta, dalle caratteristiche sorprendenti. Alcuni si riproducono costruendo un nido di bolle, come il Betta splendens, altri sono incubatori orali. Alcuni formano delle coppie che crescono insieme i piccoli, in altri casi è il maschio a curare il nido da solo. Dimensioni, colori, comportamenti… esiste una varietà e una diversificazione ricchissima di Betta selvatici. Ma alcune di queste specie sono in pericolo: Betta livida, Betta miniopinna, Betta persephone, Betta spilotogena, per citare quelle segnalate uffcialmente nelle liste IUCN. Proteggerle è importante, anzi indispensabile. In generale, i pesci d’acqua dolce sono gli animali a più alto rischio di estinzione, a causa dell’inquinamento delle acque fluviali e della distruzione degli habitat dovuta alla costruzione di manufatti come dighe, argini o invasi artificiali dei corsi d’acqua. Laghi e fiumi raccolgono meno dello 0,1% dell’acqua totale del pianeta, ma ospitano oltre 100 mila specie di animali e quasi la metà delle specie di pesci conosciuti. Oggi, questi animali scompaiono ad un ritmo cinque volte superiore agli animali terrestri o marini a causa dell’impatto dell’uomo sui corsi d’acqua. Proteggere queste specie è una sfida enorme, ma essenziale. La biodiversità, ovvero la ricchezza di piccole differenziazioni, leggere varianti, tra specie simili è la chiave che ha consentito alla vita di progredire per milioni di anni e resistere a cambiamenti climatici, catastrofi, estinzioni di massa. Proteggere la biodiversità significa proteggere la vita. Facciamo in modo che la passione per i betta, e per qualsiasi altro animale, possa essere un veicolo per sensibilizzare gli altri sull’importanza e il valore della biodiversità.