di Roberto Silverii,
articolo pubblicato su Acquariophylia
Immaginate un pesce che si accoppia con un rituale affascinante come il Betta splendens, ma vive pacificamente in comunità e cura i piccoli per settimane proteggendoli nella sua bocca…. Il Betta simplex è fatto così e negli ultimi tempi in Italia stiamo assistendo ad una forte crescita dell’interesse per specie come la sua: i cosìddetti Betta “selvatici”.
In realtà, la definizione di “selvatico” sarebbe applicabile solo ai pesci prelevati direttamente in natura; ma tra gli allevatori di Betta è convenzione indicare come Betta “selvatici” o “wild” tutti i pesci appartenenti alle specie diverse dallo splendens.
Parliamo di numerose specie, 54 (55 con B. splendens) per l’esattezza, anche se il numero varia continuamente, in seguito alla scoperta di nuove specie o alla riclassificazione di altre, che possono essere suddivise in due modi internazionalmente riconosciuti. Il primo li differenzia in base al loro meccanismo riproduttivo in costruttori di nido (quelle specie che, come lo splendens, costruiscono un nido di bolle dove custodiscono le uova e la prole nei primi giorni) ed incubatori orali.
Negli incubatori orali (o mouth brooder, per utilizzare la definizione anglosassone) dopo aver compiuto i classici “abbracci” per accoppiarsi, generalmente sul fondo e non in superficie o a mezz’acqua come i costruttori di nido, il maschio custodisce nella propria bocca sia le uova, più grandi ed inferiori di numero rispetto ai “costruttori di nido”,che i piccoli, dopo la schiusa e fino al riassorbimento del sacco vitellino.
Anche il periodo di incubazione in questo caso cambia notevolmente, dalle 36-48 ore dei costruttori di nido come Betta splendens, imbellis, smaragdina), ecc ai 10, 12 o anche 15 giorni e oltre degli incubatori orali.
Addirittura in alcune specie (le più grandi come B. patoti, B. macrostoma) sembrerebbe che la femmina produca due tipi di uova, il primo adatto alla fecondazione, il secondo, più piccolo e giallastro, non adatto alla fecondazione, di cui il maschio si nutre durante l’incubazione. Nelle altre specie i maschi rimangono invece a digiuno per tutto il tempo, arrivando molto spesso debilitati al rilascio dei piccoli.
Anche negli avannotti si evidenziano differenze fondamentali, essendo, oltre che di numero inferiore, di maggiore taglia, rispetto ai cugini nati nei nidi di bolle.
L’evoluzione ha portato in pratica a due differenti strategie in specie simili: quella dei costruttori di nido che punta sul numero, e quella degli incubatori orali che invece mira a rilasciare i piccoli già autosufficienti.
L’altro criterio di classificazione è quello che divide i Betta in 11 “complessi”, raggruppando tra loro le specie secondo caratteristiche evolutive e morfologiche. Anche questo sistema è in continuo aggiornamento perquanto detto prima riguardo le nuove scoperte e riclassificazioni.
Il protagonista di questa mia esperienza, è Betta simplex, un incubatore orale proveniente dalla Thailandia, di dimensioni medie: circa 5-7cm di lunghezza, pinne comprese, per gli esemplari adulti.
Uno degli stagni in cui furono pescati i primi Betta simplex. Foto di Nonn Panitvong.
Altro biotopo di provenienza di Betta simplex. Foto di Nonn Panitvong.
Una doverosa premessa prima di passare alla descrizione di questa specie: sicuramente alcuni lettori resteranno interdetti nel vedere le foto di questi esemplari.Le selezioni “show” di Betta splendens hanno infatti abituato l’opinione pubblica ad animali dai colori sgargianti e dalle pinne enormi.Quando parliamo di esemplari “wild” dobbiamo invece pensare ad animali che l’uomo non ha modificato in alcun modo (o quasi) e che sono quindi esclusivamente il frutto di una pressione evolutiva che dura da migliaia di anni. Quindi pesci che non possono mostrare colori troppo appariscenti, per non essere predati, o pinne troppo ingombranti, per poter nuotare meglio.
Nonostante questo, ci troviamo di fronte ad un vero “gioiellino” che mostra il meglio di se durante le parate di minaccia o di corteggiamento.
La livrea del corpo di colore beige/marrone è costellata di iridescenze azzurre, un azzurro molto carico, quasi turchese, meglio visibile sui bordi delle pinne anale e caudale. Sulle stesse è presente inoltre una bordatura nera, esterna rispetto a quella azzurra che ne esalta le tonalità. Le scaglie sugli opercoli branchiali sono di un bel verde metallico, come in altri incubatori orali.
Le femmine risultano invece quasi esclusivamente beige/marroni, una caratteristica comune a tutti gli esemplari femmina di Betta e di altri animali in cui la femmina presentare un aspetto meno appariscente e colori meno sgargianti.
Un Betta simplex maschio adulto in parata. Foto di Alberto Montalbetti.
Quello che differenzia macroscopicamente molti degli incubatori orali, anche se non tutti, pensiamo a B. channoides o B. albimarginata) è la dimensione maggiore degli esemplari ed una conformazione delle ossa craniche e della mandibola più imponente, che aumenta il volume della bocca, proprio per permettere loro di ospitare le uova da incubare.
Il particolare trend evolutivo seguito dal Betta simplex e dagli incubatori orali si coniuga anche con il loro habitat.Infatti questi popolano, oltre a stagni, pozze e ruscelli con una colonna d’acqua ridotta, anche fiumi e laghi di profondità maggiore che mal si adattano ai costruttori di nido.
Vi state chiedendo perché? Provate a immaginare un Betta splendens ed il suo nido in un lago di 3 metri di profondità…che fatica andare a raccogliere tutte le uova e le larve che cadono giù!
Avannotto di 1 mese dopo la somministrazione di naupli di Artemia salina.
Giovanili di 3 mesi circa, si noti in quello più grande come inizia a colorarsi la pinna anale.
Betta simplex è stato descritto per la prima volta da Kottelat, nel 1994, utilizzando dei pesci provenienti da alcuni stagni nella provincia di Krabi, nella Thailandia meridionale.
Quello che colpisce, per chi è abituato a pensare ai Betta provenienti dalle risaie, è la profondità e la limpidezza delle acque di questi stagni. Un ambiente in cui la protezione fornita dall’incubazione orale è senz’altro importante.
Betta simplex è stato rinvenuto anche in altre pozze più modeste e poco profonde, con acqua scura e torbida. L’areale di distribuzione di Betta simplex è comunque davvero molto ridotto. Questo ne fa una specie ad elevato rischio di estinzione sia a causa degli interventi distruttivi dell’uomo, sia per la pesca sconsiderata di questi pesci da avviare al mercato (purtroppo) acquariofilo.
Di fatto, la IUCN (International Union for Conservation of Nature) li ha inseriti nella famosa “red-list – lista rossa delle specie minacciate di estinzione” classificandoli come “vulnerabili” (classe D2).
Sono entrato in possesso di un nutrito gruppo (9 esemplari) di Betta simplex come regalo dell’amico Marco Vaccari, grande acquariofilo e appassionato di specie selvatiche, durante la manifestazione “Aquabeach” a Cesena, lo scorso Settembre.
Le prime fasi dell’abbraccio, in primo piano la femmina. Foto di Alberto Montalbetti.
Nonostante fossi consapevole della necessità di una vasca di dimensioni medio-grandi per un gruppo di 9 esemplari (da 80 litri in su), preso alla sprovvista dalla generosità del regalo, mi sono visto costretto ad ospitarli nella vasca che avevo preparato per una o due coppie, di circa 55 litri. La vasca, allestita con un ghiaino fine ambrato, una radice molto ramificata, alcune Vallisneria sp., Ceratophyllum demersum, Cryptocoryne sp., Cladophora sp., e numerose piante galleggianti (Lemna minor, Pistia stratiotes e Salvinia natans), era pronta ormai da tempo e presentava valori di acqua medi: pH 7-7,5 ed una durezza di circa 10-12°.
Un’altra particolarità di questi pesci è che vivono bene in acque neutre/leggermente basiche, al contrario delle altre specie di Betta, che richiedono acqua tenera ed acida, a volte fino ad arrivare a valori di pH di 4 in specie del complesso del Betta coccina!
Ho anche inserito in vasca, come faccio sempre con tutti i Betta, delle foglie secche di Terminalia catappa (mandorlo indiano o “Ketapang”), per non permettere al pH di salire eccessivamente: l’acqua di Bologna, dove vivo, è infatti tipicamente dura e basica.
Sono rimasto abbastanza sorpreso dal constatare la pacificità di questa specie. Nonostante l’alto numero di esemplari in una vasca di 55 litri, ho potuto osservare solo alcune parate di minaccia tra maschi, al fine di stabilire le gerarchie, a cui seguivano dei brevissimi inseguimenti senza reali contatti fisici. Un comportamento che sarebbe impossibile per un Betta splendens.
Complici il cambio totale di ambiente, le alte temperature di fine estate scorsa (circa 28°C, mentre questi pesci vivono solitamente a temperature di 23-26°C) e le somministrazioni abbondanti di cibo surgelato, dopo una decina di giorni ho assistito alle prime parate di corteggiamento ed in seguito all’accoppiamento.
I maschi che iniziano ad incubare le uova, rimangono fermi sulla superficie dell’acqua, nascosti tra le piante, presentando una livrea notevolmente sbiadita. E’ caratteristico il gonfiore della membrana presente tra le due branche mandibolari, che indica la presenza, più o meno abbondante, di uova.
L’abnegazione con cui i maschi “covano” è davvero straordinaria: restano fermi tutto il giorno, compiendo solo dei movimenti simil masticatori che servono a smuovere le uova in bocca.
Giovanili di 4 mesi.
Dopo i primi giorni passati in vasca con gli altri esemplari, e dopo essermi accertato che il maschio incubasse ancora le uova (è frequente infatti, che maschi giovani ed inesperti o eccessivamente disturbati, mangino o sputino le uova, in particolare nei primi 3-4 giorni), memore dei consigli dell’amico Marco, ho isolato il maschio in una “sala parto” a rete, quelle comunemente usate per gli avannoti di Poecillidi.Mi sono preoccupato di inserire anche delle potature e di schermare la luce, in modo che il maschio si sentisse sufficientemente protetto e “nascosto”.
L’incubazione è durata circa 12 giorni, dopo i quali, con grande emozione, ho notato circa 50 avannotti di colore scuro, molto simili per dimensioni ad avannotti di B. splendens di 2 settimane di vita.
A questo punto ho rimosso il maschio, che non aveva predato nemmeno un avannotto e l’ho reinserito insieme agli altri esemplari.
Esemplare adulto che si nutre di una camola della farina. Foto di Alberto Montalbetti.
Questo momento, per gli incubatori orali, è cruciale e molto delicato: sono infatti estremamente debilitati per i giorni passati a digiuno, mentre le femmine non aspettano tempo per avviare un nuovo rituale di accoppiamento.
Un maschio, se ben nutrito ed in salute, può sopportare anche due incubazioni successive, ma il rischio di morte per stenti è elevato. Ecco perché ho deciso di isolarlo in un’altra vasca, dove farlo riprendere e alimentarlo a dovere, non appena ho visto che una delle femmine era nuovamente disposta ad accoppiarsi.
Dopo circa una settimana, in occasione di un meeting con altri bettofili, ho regalato 7 degli esemplari adulti ad un amico, tenendo per me la nidiata e la coppia di riproduttori.
Nel periodo successivo ho avuto altri accoppiamenti spontanei in vasca, in quanto circa 2 mesi dopo, ho trovato in vasca altri esemplari subadulti di circa 1,5-2 cm. Una conferma dell’adattabilità di questa specie.
A Dicembre, dopo un’altra riproduzione ed altri 50 avannotti, ho ceduto anche la mia coppia riproduttrice e sto ora accrescendo le nidiate nate tra Settembre e Dicembre.
L’alimentazione degli avannotti è consistita nel primo mese di naupli di Artemia salina, poi ho iniziato a somministrare anche vermi grindal (con parsimonia, essendo molto grassi!) e dafnie vive. Successivamente cibo surgelato (Artemia salina, chironomus bianchi e rossi e cyclops). Se abituati da piccoli i Betta simplex accettano anche cibo secco in granuli, ma non facilmente come i Betta splendens, selezionati ormai da decenni per l’allevamento.
Per abituare i miei simplex al granulare, sono ricorso ad un espediente usato in zootecnia, dove per insegnare ai piccoli tacchini dove andare a mangiare, inseriscono nel gruppo un pulcino di gallina che, essendo molto più “sveglio” (l’avreste mai detto?) da l’esempio ai tacchinotti. Ho così messo insieme ai giovani Betta simplex, alcuni giovani Guppy, che non disdegnano affatto il cibo secco, ottenendo il risultato sperato. Mantengo tuttavia due gruppi di giovani, il primo viene alimentato anche con cibo granulare, il secondo solo con surgelato e vivo, sia per una mia necessità logistica che per vedere le differenze di sviluppo con i due tipi di dieta.
L’alimentazione degli adulti è simile; aggiungo al surgelato anche dei lombrichi fatti a pezzi (altrimenti sarebbero troppo lunghi) e larve di zanzara vive che riesco a raccogliere quando c’è caldo.
Betta simplex è una specie che può dare straordinarie soddisfazioni, soprattutto agli appassionati di Anabantidi, e merita una vasca dedicata. Inoltre, considerando le sue esigenze e caratteristiche, si presta bene anche per acquariofili meno esperti che, seguendo poche regole, potranno avvicinarsi a una bella specie di Betta “selvatico”. Posso garantire che le soddisfazioni saranno enormi!
Data la sua facilità di allevamento, è stata tra le prime specie ad essere inserita nel “Progetto di Mantenimento delle Specie Selvatiche” dell’Associazione Italiana Betta; speriamo infatti, allevando questa specie in cattività e favorendone lo scambio tra appassionati, di ridurre nel nostro piccolo la pressione della pesca in natura oltre a mantenere in cattività una specie minacciata (esagero se dico che magari un giorno, quando l’uomo avrà imparato a preservare invece di distruggere, potremo contribuire al ripopolamento in natura?). Sperando di aver fatto crescere in qualche lettore l’interesse per questa specie affascinante, invito coloro che fossero interessati ad entrare in possesso di un gruppetto di giovani Betta simplex a venire a trovarci nel nostro forum o a scriverci a info@aibetta.it.